L’impugnazione licenziamento
Procedura e termini
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Lettera di impugnazione licenziamento
L’impugnazione del licenziamento è un atto con cui il lavoratore comunica al datore di lavoro la sua volontà di contestare la validità del licenziamento.
Non ci sono formule particolari richieste dalla legge, basta che il lavoratore esprima chiaramente per iscritto l’intenzione di opporsi.
La contestazione del licenziamento può essere inviata al datore di lavoro tramite qualsiasi mezzo valido, come una lettera, un telegramma o un fax.
L’impugnazione deve essere firmata dal lavoratore, che è la persona direttamente interessata.
Il termine di impugnazione licenziamento
La legge stabilisce che il lavoratore ha 60 giorni di tempo per impugnare il licenziamento.
Rispettato il suddetto termine, occorrerà seguire questi passaggi:
- Depositare un ricorso per licenziamento illegittimo presso la Sezione Lavoro del Tribunale competente
- Rispetto del termine di 180 giorni: il ricorso deve essere presentato entro 180 giorni dalla spedizione della lettera di impugnazione, per non perdere il diritto di far valere l’illegittimità del licenziamento.
Anche questo termine è fissato dalla legge e deve essere rispettato per poter proseguire nella causa.
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Tentativo di conciliazione o di arbitrato
Entro 180 giorni dalla prima dell’impugnativa del licenziamento, il lavoratore può chiedere al datore di lavoro di avviare un tentativo di conciliazione o un arbitrato.
Questo è un processo alternativo per cercare di risolvere la controversia senza andare in tribunale.
Se il datore di lavoro rifiuta di partecipare o se non si raggiunge un accordo, il lavoratore dovrà depositare un ricorso in tribunale entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo, altrimenti perderà il diritto di procedere.
La revoca del licenziamento
Nel caso di licenziamenti regolati dall’articolo 18 della legge n. 300/70, il datore di lavoro ha la possibilità di revocare il licenziamento comunicato al dipendente.
La revoca deve essere comunicata per iscritto al lavoratore entro 15 giorni dalla ricezione dell’impugnazione del licenziamento. Non è necessaria l’accettazione da parte del lavoratore. Dopo la revoca, il rapporto di lavoro viene ripristinato come se non fosse mai stato interrotto.
Il lavoratore ha diritto al pagamento delle retribuzioni per il periodo compreso tra la comunicazione del licenziamento e la sua revoca, e il datore di lavoro deve versare anche i relativi contributi previdenziali. In questo caso, non si applicano le sanzioni previste per un licenziamento illegittimo.
Una norma simile è presente anche nel decreto legislativo n. 23/2015 per i licenziamenti relativi a lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015.
Il tentativo di conciliazione da parte del datore di lavoro
Per i licenziamenti regolati dal decreto legislativo n. 23/2015, il datore di lavoro ha la possibilità di proporre un tentativo di conciliazione al lavoratore licenziato. In pratica, può offrire una somma di denaro come risarcimento, pari a una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo di due mensilità e un massimo di diciotto mensilità.
Se il lavoratore accetta questa somma, rinuncia a impugnare il licenziamento.
Per essere valida, la conciliazione deve avvenire in sedi assistite, come previsto dalla legge.
Risarcimento e reintegrazione: esiti dell’impugnazione del licenziamento
Se dopo l’impugnazione il licenziamento viene ritenuto illegittimo (ad esempio, non conforme alle leggi sul lavoro), il lavoratore potrebbe ottenere due cose:
- Reintegrazione: il ritorno al lavoro, con il pagamento delle retribuzioni che avrebbe ricevuto fino al momento del reintegro
- Risarcimento dei danni: un risarcimento economico, che viene stabilito dal giudice, specialmente in caso di licenziamento discriminatorio.
Se, invece, il licenziamento risulta giustificato, il lavoratore avrà diritto a:
Un periodo di preavviso.
- Il TFR (trattamento di fine rapporto).
- L’indennità di disoccupazione (NASPI).
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